Dalle fabbriche di Chicago alla tragedia di Haymarket
il Primo Maggio, la festa dei lavoratori nasce oltreoceano, e qui già si infrange il luogo comune che la vuole tutta europea e tutta socialista. Siamo a Chicago, nel 1886. La città americana ribolle come un’officina d’acciaio: tra fumi industriali e slogan improvvisati, si alza il grido di chi chiede otto ore di lavoro, otto di svago, otto di riposo. Un’utopia semplice, apparentemente modesta, eppure rivoluzionaria in un mondo in cui si lavorava anche quattordici ore al giorno, senza tutele né domani.
Il cuore della rivolta fu la piazza di Haymarket, dove il 4 maggio esplose una bomba durante una manifestazione pacifica. Morirono poliziotti e operai, ma a pagare furono in sette: anarchici, condannati a morte in un processo-farsa. Martiri laici di una fede incrollabile nella giustizia sociale. Il loro sacrificio accese la miccia in tutto il mondo.
“Non moriranno mai finché ci sarà qualcuno a ricordarli.” – Ken Loach, Il vento che accarezza l’erba
Parigi 1889: la nascita di una festa mondiale
Nel 1889, a Parigi — dove tutto prende una piega teatrale e universale — la Seconda Internazionale proclamò il Primo Maggio come giornata mondiale di lotta dei lavoratori. Da allora, la data è diventata un simbolo che ha viaggiato nei decenni come un vessillo intriso di ideali e melodie popolari.
“Le idee sono più forti delle armi. Noi non lasciamo che il nostro popolo abbia né idee né armi.” – Josif Stalin, citato amaramente in La fattoria degli animali di George Orwell
Il Primo Maggio in Italia: tra coraggio e repressione
In Italia, la prima celebrazione risale al 1891. Ci vollero coraggio e determinazione per sfidare il potere di un’epoca in cui le rivendicazioni sociali puzzavano di sovversione. La festa fu soppressa durante il fascismo, perché il regime non tollerava il dissenso organizzato, ma rifiorì subito dopo la guerra, nel dopoguerra assetato di pane, pace e diritti.
“Lavorare stanca, ma non lavorare è peggio.” – Cesare Pavese, Lavorare stanca
Una celebrazione che è ancora lotta

Oggi il Primo Maggio è il giorno dei cortei, dei concerti, delle mani callose che si stringono in silenzio. È il giorno in cui si ricordano i lavoratori invisibili, gli sfruttati di ogni epoca, i morti sul lavoro — che in Italia, ogni anno, sono ancora troppi per poterne parlare senza rabbia.
Ma è anche un giorno di speranza. Perché parlare di lavoro significa parlare di futuro. Significa chiedersi quale dignità vogliamo dare al tempo che vendiamo, quale valore attribuire a chi produce, cura, insegna, costruisce. È il giorno in cui si alzano le voci degli studenti, dei precari, degli autonomi stanchi di essere invisibili, di chi chiede non solo un posto, ma un posto giusto.
“La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà è partecipazione.” – Giorgio Gaber, La libertà
Non una ricorrenza, ma una scintilla
Il Primo Maggio, in fondo, è il romanzo corale di chi ha osato chiedere di più. Una storia che va riletta ogni anno, perché non resti una ricorrenza stanca, ma torni a essere una scintilla.
Non per nostalgia.
Ma per giustizia.
E per amore della dignità umana, che non conosce ferie.
“Nessun uomo è un’isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.” – Ogni uomo è un’isola di Hemingway
A cura di Veronica Aceti
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