Un’intera generazione dimenticata dal presente e dal futuro
L’Italia perde figli e ignora chi dovrebbe ereditare il Paese
L’Italia invecchia velocemente. Le nuove generazioni diminuiscono e chi resta fatica a reggersi in piedi. I numeri raccontano una verità crudele: tra bambini e adolescenti sotto i 18 anni, il disagio economico più estremo è salito dal 3,9% del 2005 al 14,2% del 2021. Una salita ripida, che fotografa una gioventù abbandonata.
Il disagio materiale annienta il cuore pulsante della collettività
Disagio economico assoluto significa non poter coprire le necessità essenziali: alimentazione, abitazione, riscaldamento, istruzione. Un minore intrappolato in questa condizione non ha alcuna alternativa, si ritrova schiacciato in una vita senza prospettive e senza diritti.
Le statistiche parlano chiaro: l’emergenza è sotto gli occhi di tutti

Nel 2021 oltre 1,38 milioni di minori affrontavano la miseria più dura. Uno su sette. Nelle regioni del Sud, la percentuale supera il 16%. Il problema coinvolge anche i giovani adulti: tra i 18 e i 34 anni l’incidenza è salita dal 3,1% all’11,1% nello stesso periodo. Tanti ragazzi non trovano lavoro, oppure finiscono in situazioni instabili e non riescono a costruire un domani.
L’occupazione esiste ma è instabile, sfruttata e poco retribuita
Una larga parte dei giovani lavora senza garanzie, con contratti brevi, da lavoratori autonomi sottopagati oppure nel nero. Lavorano, ma non superano la soglia della povertà. Non riescono a pensare a una casa, a una famiglia, a un piano per la vita. Affrontano il presente con un’ansia costante.
L’istruzione pubblica non guida ma ostacola il cambiamento
Il sistema educativo italiano non orienta i giovani verso un futuro concreto. I percorsi scolastici si presentano rigidi, datati, scollegati dal mondo del lavoro. Chi nasce in condizioni difficili parte svantaggiato. Le differenze iniziali diventano gabbie sociali.
Le disuguaglianze geografiche pesano sui giovani del Meridione
In Calabria, Sicilia e Campania, le percentuali di bambini poveri superano il 20%. Manca tutto: strutture educative, mobilità pubblica, opportunità professionali. Chi nasce in questi territori parte con meno chance, meno mezzi, meno appoggi. Lo Stato non interviene con decisione.
La miseria non ruba solo il presente, ma anche l’avvenire
Un bambino povero ha maggiori possibilità di diventare un adulto in difficoltà. Si ammala più facilmente, raggiunge livelli d’istruzione più bassi, lavora in condizioni peggiori. La povertà si eredita, si riproduce, si cementa. Una profonda ingiustizia sociale travestita da fatalità.
Gli strumenti esistono, ma risultano insufficienti e mal calibrati
Il Reddito di Cittadinanza, i bonus per i nuclei familiari, gli assegni unici non risolvono il problema. Si rivelano complessi, farraginosi, spesso inadeguati. Servono scelte politiche forti, pensate per chi non ha voce e non per chi urla più forte.
Le soluzioni per restituire dignità a chi cresce nell’ombra
- Rilanciare l’istruzione statale, soprattutto nelle zone marginali e nel Sud
- Favorire occupazione sicura e ben retribuita, con regole contrattuali eque
- Aiutare concretamente i nuclei familiari con minori, tramite asili gratuiti e doposcuola accessibili
- Incentivare le imprese che assumono giovani, che formano, che scommettono sul futuro
Il terzo settore non può sostituire la responsabilità pubblica
Caritas, Save the Children, molte organizzazioni territoriali operano ogni giorno con dedizione, ma non possono colmare il vuoto di uno Stato assente. La società civile resiste, ma senza alleanze istituzionali combatte con armi spuntate.
Un Paese che ignora le nuove generazioni crolla su se stesso
Una comunità che lascia indietro i giovani distrugge le proprie fondamenta. Se nessuno cambia rotta, il futuro diventa uno specchio infranto: tanti frammenti, nessuna immagine chiara.
Occorre coraggio, empatia, strategia. Non servono cerotti, ma una rivoluzione educativa e sociale.
Bisogna ammettere che la crisi esiste, e agire. Subito. Prima che il buio si allarghi.
A cura di Veronica Aceti
Leggi anche: In Giappone, fino ai dieci anni niente esami formali