I giudici negano l’aggravante nonostante i 75 fendenti, il movente resta oscuro, ma per i togati manca la volontà di tortura

I giudici escludono l’intento di infliggere dolore gratuito

La Corte d’Assise di Venezia ha pronunciato le motivazioni che giustificano la condanna all’ergastolo per Filippo Turetta, autore dell’uccisione di Giulia Cecchettin, e ha scelto di non applicare l’aggravante della crudeltà.
Secondo i giudici, non risulta provata oltre ogni dubbio ragionevole l’intenzione, da parte di Filippo, di infliggere ulteriori sofferenze gratuite e non necessarie alla giovane Giulia.

Le immagini mostrano colpi rapidi, disordinati, ciechi

I togati hanno valutato la dinamica dell’aggressione osservando il video che documenta i momenti in cui Turetta ha colpito Giulia. I fendenti appaiono ravvicinati, confusi, lanciati quasi alla cieca, in una sequenza descritta come concitata ed efferata. Tuttavia, per i magistrati, Filippo Turetta non avrebbe scelto volontariamente quelle modalità per aumentare il dolore della vittima.

La mancanza di esperienza come attenuante per l’omicida

Turetta
Turetta ph wp

La Corte di Venezia, nei suoi atti, definisce l’azione come il risultato dell’inesperienza e della goffaggine dell’assassino, incapace – secondo la loro analisi – di colpire con precisione letale.
“Non aveva competenza né capacità per ferire con efficacia”, scrivono i giudici. E così Filippo Turetta ha continuato a colpire finché Giulia Cecchettin non ha smesso di muoversi.

La coltellata all’occhio, un gesto che impressiona ma non convince

Nel verbale, l’imputato riferisce un dettaglio che ha colpito anche i magistrati:
“Mi sono fermato quando ho colpito l’occhio. Mi ha fatto troppa impressione”, avrebbe dichiarato Turetta durante l’interrogatorio. Per i giudici, quella reazione dimostra uno stato emotivo disturbato e impressionabile, e non un desiderio di mutilare o torturare.

Neanche la ferita all’occhio – che ha scioccato l’opinione pubblica – rappresenta per la Corte un gesto simbolico o sadico. L’insieme delle ferite inferte, spiegano, si distribuisce in modo disordinato sul corpo di Giulia Cecchettin, e non indica un’intenzione di infliggere dolore prolungato o sofferenze inutili.

L’Italia guarda sgomenta: 75 colpi non bastano

La sentenza solleva dubbi, indignazione e un senso diffuso di amarezza.
Chiunque conosca la storia di Giulia, una ragazza solare e brillante, prova una fitta al cuore nel leggere che 75 colpi non bastano, per la legge, a configurare una crudeltà intenzionale.

In molti si chiedono: se non è crudeltà questa, allora cos’è?
La risposta, per ora, resta scritta nelle pagine dei codici, ma non nelle coscienze.

E mentre Filippo Turetta affronta l’ergastolo, Giulia Cecchettin resta nel cuore di un Paese che continua a lottare per una giustizia che guardi in faccia la realtà e le sue ferite.

A cura di Veronica Aceti
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