L’orrore di Sara Millerey González Borja: picchiata, gettata viva in un torrente e ignorata dalle istituzioni che le hanno negato anche il nome

Un’intera comunità in piazza per chiedere giustizia

Sara non è morta, l’hanno uccisa”. Con questo urlo straziante, centinaia di persone hanno invaso le strade di Bello, in Colombia, per onorare la memoria di Sara Millerey González Borja, una donna transgender di 32 anni, brutalmente aggredita. Gli aggressori le hanno spezzato braccia e gambe, poi l’hanno gettata viva in un torrente. Sara ha esalato l’ultimo respiro il giorno successivo, in ospedale, senza ricevere soccorsi tempestivi né adeguati.

Il video che mostra l’indifferenza di fronte alla sofferenza

Un passante ha filmato gli ultimi istanti di vita di Sara: il volto tumefatto, gli occhi pieni di supplica, il corpo immerso nell’acqua sporca. Il video circolato online mostra soltanto pochi secondi, con il volto oscurato, per tutelare la sua dignità e per evitare qualsiasi spettacolarizzazione del dolore umano.

Una sirena nel fango: tra denuncia e simbolismo

In rete è apparsa anche un’illustrazione in stile anime che raffigura Sara come una sirena nel fango: un’immagine simbolica, pensata per denunciare la brutalità dell’aggressione senza mostrarla in modo diretto. Questa rappresentazione ha colpito profondamente molti utenti, anche se alcune persone hanno espresso perplessità sul rischio di trasformare la sofferenza reale in una forma di estetica digitale.

Le autorità rispondono, ma gli arresti non arrivano

La Procura generale della Colombia ha avviato un’indagine, collaborando con il Gruppo nazionale per le indagini sulla violenza basata su orientamento sessuale e identità di genere. Il presidente Gustavo Petro ha espresso una ferma condanna, seguito da numerose autorità e dalle Nazioni Unite.

La sindaca di Bello, Lorena González, ha definito l’aggressione “atroce e odiosa” e ha offerto una ricompensa di circa 11.600 dollari a chi fornirà informazioni utili all’identificazione dei responsabili. Tuttavia, le forze dell’ordine non hanno ancora eseguito arresti.

Transfobia e oblio istituzionale: la lotta continua

Nel 2025, almeno quindici persone trans hanno perso la vita in Colombia per mano dell’odio. Nonostante il Paese disponga di leggi tra le più avanzate del continente, la transfobia sistemica continua a mietere vittime.

Sara Millerey
Sara Millerey PH WP

Persino dopo la sua morte, Sara Millerey González Borja ha subito l’ennesima violenza: le autorità hanno ignorato il suo nome e la sua identità di genere femminile nei documenti ufficiali, cancellandola anche nella memoria burocratica.

La sua vicenda si è trasformata in un simbolo necessario e straziante nella battaglia contro la disumanizzazione e l’invisibilità delle persone transgender. Sara non è soltanto una vittima: è un grido che continua a scuotere le coscienze.

Un’eco che non si spegne

Sara Millerey González Borja non ha scelto di diventare un simbolo. Non ha chiesto di morire con le ossa spezzate, nell’acqua sporca di un torrente, sotto gli occhi impassibili del mondo. Le hanno tolto tutto: il corpo, il nome, la voce. Ma non la verità.

E io, davanti a questa storia, resto sconvolta, basita, con la gola stretta e le mani che tremano. Non riesco a capire come si possa continuare a vivere in un mondo che permette che tutto questo accada. Un mondo che guarda, che registra, che condivide… ma che spesso non agisce.

Mi chiedo come si possa dormire la notte, sapendo che Sara ha gridato, ha supplicato, e nessuno l’ha salvata. Mi chiedo dove siamo noi, quando il dolore degli altri diventa solo un contenuto da scrollare.

E mentre le sue ultime immagini si dissolvono nei pixel di un video, una cosa mi resta addosso come fango sulla pelle: la vergogna di appartenere a una società che ha smesso di riconoscere l’umano nell’altro.

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