La tristezza come errore da cancellare

Viviamo in un tempo in cui la tristezza sembra quasi un errore di sistema, qualcosa da correggere in fretta, da coprire con uno smiley o con una frase motivazionale trovata su Instagram. Ogni emozione che punge, che pesa, che ci rallenta, viene vista come una debolezza da superare, o peggio, come un pretesto per attirare qualche like in più.
Ma la verità è che non siamo fatti solo per brillare, e non possiamo essere felici a comando. Sotto la superficie patinata dei post, dei sorrisi tirati, dei contenuti motivazionali di guru a pagamento, c’è un bisogno profondo: quello di sentirci interi anche quando siamo fragili.
Sempre più spesso, invece di rivolgerci a uno psicologo, scriviamo a ChatGPT. Forse per timidezza, per risparmiare, o semplicemente perché ci sembra più facile. Ma chiedere supporto a una macchina non può sostituire il contatto, lo sguardo, l’ascolto reale.

Condividere il dolore senza vergogna: una sfida tenera e potente

Nell’era della condivisione compulsiva, parlare di ciò che ci fa soffrire ci espone. E a volte fa paura. Abbiamo imparato a mostrarci sempre forti, sorridenti, allineati con quel pensiero positivo che sembra aver colonizzato ogni angolo della nostra cultura.
Ma la vita vera è più ampia, più sfumata. E in questa verità c’è anche la rabbia, il disincanto, la delusione. Sentirli, accoglierli, restarci dentro senza scappare non è un segno di debolezza, è un atto di amore verso se stessi.

Accettare non è arrendersi, ma smettere di lottare contro se stessi

Quando impariamo ad ascoltare il nostro dolore senza giudicarlo, qualcosa si scioglie. Accettare un malessere, darci il permesso di sentirci tristi o spaventati, non significa arrenderci. Vuol dire solo smettere di fingere, togliere la maschera, respirare davvero.
Come scriverebbe Oriana Fallaci, la verità è più importante della consolazione, anche quando fa male.

La lentezza dell’accettazione: un cammino fatto di piccoli passi

Abitare la tristezza senza vergogna, con amore e verità
Abitare la tristezza senza vergogna, con amore e verità ph fp

Accettare non è un gesto eclatante. È una danza lenta, un passo esitante, ma necessario.
Si comincia da movimenti quasi impercettibili: dirsi che oggi non va, e va bene così, lasciar cadere il bisogno di controllo, ascoltare il proprio respiro, stare dentro un’emozione senza doverla correggere.
In questo rallentare si schiude uno spazio nuovo, più intimo, più umano. Ci si accorge che non serve afferrare tutto al primo sguardo, che si può semplicemente restare. Come scrive Roberto Vecchioni,
“Dormono gli aironi, dormono come fiori su un gambo solo.
È troppo grande il cielo per capirlo al volo.”
Ed è proprio qui che sorge una domanda bruciante, urgente:
come possiamo parlare ai giovani di tutto questo, se noi adulti per primi non riusciamo ad accettarlo?
Se abbiamo ancora paura del buio dentro, se nascondiamo le nostre ferite dietro frasi fatte, come possiamo aspettarci che loro imparino a convivere con le proprie?

Essere guida senza maschere: un’eredità fatta di verità

Per accompagnarli davvero, dobbiamo imparare noi per primi a stare nel silenzio, nella stanchezza, nella tristezza. Senza fretta di guarire. Senza vergogna.
Solo così, attraverso la nostra presenza sincera, potremo trasmettere qualcosa che va oltre le parole: il diritto di essere umani, interi, imperfetti.
In questa sincerità si apre una possibilità nuova: una vita più autentica, più vera, forse anche più leggera.
Non serve più illudersi che tutto andrà per forza bene. Serve solo rimanere fedeli a ciò che sentiamo, anche quando il giorno tarda a sorgere.

Lasciar andare è fidarsi di ciò che siamo

In un mondo che ci vuole sempre performanti, invincibili, in ordine… scegliere di lasciar andare è un atto di coraggio dolce e necessario.
Restare fedeli a ciò che sentiamo, senza aggiustarlo, senza travestirlo da successo, è forse l’unico modo per stare davvero bene.
Come scriveva Georges Simenon, “la verità di un essere umano si trova nei suoi silenzi, non nei suoi applausi.”

A cura di Veronica Aceti

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